XXIV
Festival
Internazionale
di
narrazione
Arzo
22–25 agosto
2024
Journal
30 Agosto 2024
Carola Fasana
“Hamelin” – la magia delle storie
Uno spettacolo di Tonio de Nitto con il camaleontico Fabio Tinella incanta adulti e bambini creando un ponte tra il passato e il presente e ci ricorda l'importanza dell'arte in momenti bui.
27 Agosto 2024
Carola Fasana
“Un mostro di acciaio” mascherato da progresso
"Ilva Football Club" è la storia di una città, di una squadra di calcio, di una famiglia e, in un certo senso, di un Paese che ci piace pensare non esista più e, invece, rimane.
26 Agosto 2024
Giacomo Stanga
Un vento comune: teatro e anarchia
Durante l’incontro in Corte dei Miracoli si è parlato di teatro e di anarchia, ripercorrendo lo spettacolo «Umanità nova. Cronaca di una mancata rivoluzione» con Giuseppe Carullo, Cristiana Minasi ed Edy Zarro.
25 Agosto 2024
Carola Fasana
“Kakuma Fishing in the desert” - un nowhere, da qualche parte, mentre il mondo dorme.
24 Agosto 2024
Giacomo Stanga
È Shakespeare, it’s ok (?)
«Lei Lear», di Chiara Fenizi e Julieta Marocco (Muchas Gracias Teatro), parte dalla tragedia shakespeariana per interrogare il pubblico sulle storie che è abituato a vedere e sulla possibilità di riscriverle.
23 Agosto 2024
Giacomo Stanga
Come una specie di vertigine. Libertà e autodeterminazione tra Calvino e attualità
Come una specie di vertigine. Il Nano, Calvino, la libertà, di Mario Perrotta, ha aperto la ventiquattresima edizione del Festival internazionale di narrazione di Arzo. Poche ore prima di andare in scena, l’attore ha dialogato con Natalia Proserpi sul senso della sua riflessione sulla libertà, sui modi di scrivere teatro partendo dalla letteratura e sulle domande che hanno ispirato il monologo.
14 Agosto 2024
Giacomo Stanga
Inarrestabile è la notte
Al via la XXIV edizione del Festival internazionale di narrazione, tra viaggi nel tempo, nello spazio e riflessioni collettive
26 Agosto 2023
Carola Fasana
“Esercizi di fantastica” per volare con l’immaginazione
"Esercizi di fantastica" interpretato da Elisa Canessa, Federico Dimitri e Francesco Manenti è un manuale visivo e performativo che ricorda agli adulti di guardare il mondo con lo stupore incantato di un bambino e che incoraggia i bambini ad avventurarsi in una dimensione magica con gli occhi ben aperti.
23 Agosto 2023
Carola Fasana
“IO. NOI. GLI ALTRI”
“Posso iniziare?” Così si rivolge al pubblico Nicola Borghesi dal fondo della Corte Solari. Cammina in mezzo alle sedie, sale sul palco, li osserva uno per uno. Sono tante navi separate, non un mare nero compatto. Tanti “io” seduti lì, uno di fianco all’altro.
22 Agosto 2023
Giacomo Stanga
Cosa si dice, come lo si dice: Frosini e Timpano tra scrittura, forma e contenuti
In scena sabato sera con "Gli sposi. Romanian tragedy" e domenica pomeriggio con "Carne", Elvira Frosini e Daniele Timpano hanno incontrato il pubblico del Festival alla corte dei Miracoli, condividendo alcuni dettagli dei loro lavori e parlando, più in generale, di teatro e di narrazione.
20 Agosto 2023
Giacomo Stanga
La morbidezza dell’asfalto: resoconto dell’incontro «il teatro e il carcere»
Riflessione sull'incontro «Storie così grandi» e sugli spettacoli che, in questa edizione del Festival, portano in scena direttamente l'ambiente carcerario (in particolare House we left, Il colloquio e Sguardi a confronto)
20 Agosto 2023
Carola Fasana
“Che cos’è la drammaturgia oggi?”
Chicco Dossi e Simone Tudda, Nicola Borghesi della compagnia Kepler-452, Matteo Luoni e Alan Alpenfelt del progetto Luminanza sul palco della Corte dei Miracoli si sono confrontati con la fatidica domanda “che cos’è la drammaturgia oggi?” posta da Sofia Perissinotto. La drammaturgia può essere un veicolo a cui si ricorre per indagare un’ossessione e trasformarla in un testo, oppure un qualcosa di cui fidarsi e che va rispettato, oppure ancora una modalità per riflettere sulla barriera linguistica in una terra di confine.
18 Agosto 2023
Giacomo Stanga
«È tutto vero»: il mondo visto (quasi) dormendo
A dialogo con Vittorio Ondedei, che giovedì notte ha presentato lo spettacolo "Ho sonno. Il mondo ad occhi chiusi", un monologo liminare tra coscienza e incoscienza accompagnato dalle musiche di Giulio Escalona.
16 Agosto 2023
Giacomo Stanga
Vedersi di fronte
Al via la ventitreesima edizione del Festival Internazionale di Narrazione di Arzo
27 Agosto 2022
Carola Fasana
A dialogo con Irene Serini e Caterina Simonelli: “uno spettacolo in cui tutto è svelato.”
Sabato 20 agosto, nella Tenda Bianca, Irene Serini porta in scena Abracadabra – incantesimi di Mario Mieli [#studio3] in un continuo gioco tra dentro e fuori dalla vita del poeta, attivista, filosofo, attore. È rappresentata sia la difficile e profonda ricerca di Mieli sia quella dell’attrice in un sottile equilibrio tra le due personalità, dettato da momenti di vicinanza e di fusione.
23 Agosto 2022
Carola Fasana
Maniaci d'Amore: un teatro di desiderio, condivisione e comunicazione
Con lo spettacolo Siede la terra. Fenomenologia della pettegola, sabato 20, in compagnia di Luciana Maniaci (Teresa) e Franceso d’Amore (Clarice) siamo catapultati a Sciazzusazzu di Sopra. Un mondo in cui ci sono: i buoni e i cattivi, chi profuma e chi puzza, quelli che si comportano secondo le regole e chi invece va fuori dal tracciato, chi va elogiato e chi va condannato, chi è normale e chi è strano, etc.
23 Agosto 2022
Giacomo Stanga
Storie di uomini e topi
Alcune note scaturite dall’incontro tra la compagnia Usine Baug, autrice di «Topi. A vent’anni dal G8 di Genova 2001», Angelica Lepori, sociologa e parlamentare ticinese, e il pubblico del Festival Internazionale di Narrazione, incontro moderato e concluso con un’interessante rassegna bibliografica proprio dal presidente del Festival Marco Mona.
23 Agosto 2022
Carola Fasana
Laboratorio con Ireni Serini e Caterina Simonelli: "Qual è secondo voi la differenza tra maschi e femmine?"
Venerdì 19 agosto, nella palestra di Arzo, le registe, drammaturghe e attrici Irene Serini e Caterina Simonelli hanno tenuto il laboratorio per adulti/e EveryBody, rivolto in particolare a chi opera in ambito educativo. Quattro ore intense in cui sono state sviscerate individualmente, ma insieme nel gruppo, e sentite sulla pelle, attraverso il medium del corpo, delle tematiche fondamentali inerenti all’identità di genere.
21 Agosto 2022
Giacomo Stanga
«Dare qualche strumento per capire» : conversazione con Alessandro Sesti su Ionica
Andato in scena venerdì sera, «Ionica» di Alessandro Sesti racconta una storia di ‘ndrangheta e di giustizia da un punto di vista peculiare, ed è il frutto di un lavoro di ricerca sul campo che ha profondamente segnato l’attore: ne abbiamo discusso insieme per avere qualche dettaglio sull’origine dell’idea, su come è stato possibile realizzarla e sull’effetto che quell’esperienza diretta ha avuto sulla costruzione dello spettacolo.
21 Agosto 2022
Carola Fasana
"Più che teatro": dialogo con Nicole & Martin
Venerdì 19, della ventiduesima edizione del Festival, nella suggestiva tenda bianca all’entrata del paese, bambini, bambine e famiglie sono stati trasportati nel magico mondo agreste della Germania dell’est di Il pescatore e sua moglie. Sabato il pubblico viene catapultato nel mondo incantato del patrimonio slavo con Wassilissa. E ancora, domenica, con i Musicanti di Brema i piccoli spettatori e le piccole spettatrici seguono i suonatori in un viaggio fortemente simbolico fino alla città di Brema.
20 Agosto 2022
Giacomo Stanga
Deus est machina?
Nel pomeriggio di venerdì Laura Curino e Beatrice Marzorati, le due attrici in scena nello spettacolo «Big Data B&B», hanno incontrato il pubblico del Festival alla Corte dei Miracoli, con la mediazione della professoressa Roberta Carpani (Università Cattolica di Milano).
Oltre al tipo di lavoro intrapreso e alle numerose collaborazioni che si sono rese necessarie per affrontare un argomento di tale portata, si è parlato del senso del teatro, della commistione di linguaggi (tra scienza, latinorum e Goldoni) e di quanto sia sempre più facile – e divertente – fare i cattivi.17 Agosto 2022
Giacomo Stanga
Che basta un colpo di vento per
Al via la ventiduesima edizione del Festival Internazionale di Narrazione di Arzo
23 Agosto 2021
Giacomo Stanga
Una parola, un’immagine
Con Marco D’Agostin, autore e interprete di «First Love», si è parlato anche di scambio culturale tra danza contemporanea e teatro di narrazione. In dialogo con Nunzia Tirelli, coreografa e danzatrice, un piccolo approfondimento sul rapporto tra voce e corpo, sul dialogo tra sport e creazione artistica e sulla relazione che si crea con il pubblico durante lo spettacolo.
22 Agosto 2021
Giacomo Stanga
La scimmia siamo noi
Sabato sera il pubblico del Festival ha avuto il piacere di ammirare «La Scimmia», una riflessione sulla natura umana mediata da un grottesco personaggio da commedia, un essere ibrido che ci porta a interrogarci sulle nostre scelte e sulla nostra – attiva o meno – partecipazione alla narrazione dominante. Alcune riflessioni sull’incontro tra Giuliana Musso, attrice e autrice dello spettacolo, e Sofia Perissinotto.
21 Agosto 2021
Giacomo Stanga
Un teatro all'ascolto
Avviato nel novembre del 2020 in collaborazione con il Telefono Amico Ticino e Grigioni Italiano, il progetto «Pronto? Io ci sono» della compagnia Grande Giro ha esordito al Festival di Narrazione, portando sul palco storie, esperienze e racconti legati alla nascita e all’attività del presidio telefonico 143. Un breve approfondimento, in conversazione con attore e attrici, sui metodi di lavoro e sul rapporto tra il teatro e la realtà.
20 Agosto 2021
Giacomo Stanga
Nel nome di quale padre?
Mario Perrotta, qualche ora prima di aprire la ventunesima edizione del Festival di Narrazione, ha dialogato con Laura Di Corcia per approfondire il lavoro di ricerca – non solo teatrale – che ha portato alla scrittura e alla messa in scena di «Nel nome del padre» e, dalla riflessione sulla genitorialità e sui rapporti sociali che la circondano, sono emersi molti sintomi di disfunzionalità (non solo individuali, anzi) e qualche sincero messaggio di speranza.
1 Settembre 2019
Mara Travella
Incontrarsi su di un palco
Intervista agli attori che hanno portato in scena Thioro. Un cappuccetto rosso senegalese, una coproduzione Teatro delle Albe, Ravenna Teatro, Accademia Perduta, Romagna Teatri, Ker Théatre Mandiaye N'Diaye
1 Settembre 2019
Mara Travella
Raccontare «rimanendo sul confine»
Intervista con Stefano Beghi e Marco Prestigiacomo, voce e musica di due spettacoli – Rimanendo sul confine. Ovvero: la volta che rincorsi il fante di cuori e Simplon (Produzione KaraKorum teatro) – ospiti alla ventesima edizione del Festival.
1 Settembre 2019
Mara Travella
Storia di una ragazza eccezionale
Intervista a Monica Ceccardi a proposito de Il taccuino di Simone Weil, spettacolo preserale andato in scena ieri al cortile della Contessa.
31 Agosto 2019
Mara Travella
Le Clarisse che potremmo essere
Intervista a Marta Cuscunà e Marco Rogante su La semplicità ingannata, andato in scena ieri sera alla Cava Broccatello.
3 Settembre 2018
di Mara Travella
Questa è la bella vita che ho fatto
Una trilogia chiamata Terra Matta. Una voce, una sedia. Stefano Panzeri sulla scena non ha nient’altro, perché il resto è riempito dalla storia di Vincenzo Rabito, un bracciante siciliano semianalfabeta, autore di un’autobiografia tanto lunga e intensa da essere divisa in tre momenti (1899 – 1918; 1918 – 1943; 1943 – 1968).
2 Settembre 2018
di Mara Travella
L’idea un po’ scanzonata di fare il cantastorie
Dopo lo spettacolo l’attore ci ha raccontato un po’ di quello che sta dietro «Transumanze»: le passioni, gli intenti, le ricerche da cui nasce questo spettacolo.
1 Settembre 2018
di Mara Travella
«Io mi rinasco»
Abbiamo fatto una chiacchierata con le cinque voci – quelle di Francesca Cecala, Miriam Gotti, Barbara Menegardo, Ilaria Pezzara, Swewa Schneider – protagoniste di Piccolo canto di resurrezione, della compagnia Associazioni Musicali si cresce, andato in scena ieri sera all’OSC di Mendrisio. Si è cercato di capire come è nato lo spettacolo, che importanza ha il canto e perché l’urgenza di parlare oggi di resurrezione.
1 Settembre 2018
di Mara Travella
A suon di violoncelli
Una breve intervista con Milo Ferrazzini, uno dei membri del gruppo TheXcellos
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23 Agosto 2018
Conferenza stampa
Questa mattina alle 11:00 si è tenuta a Mendrisio la conferenza stampa del nostro Festival, un incontro che ha l’obiettivo di dare un’idea di quello che accadrà da giovedì 30 agosto a domenica 2 settembre ad Arzo.
A dialogo con Irene Serini e Caterina Simonelli: “uno spettacolo in cui tutto è svelato.”
27 Agosto 2022
Carola Fasana
Mentre il pubblico fa il suo ingresso, Serini con uno zaino in spalla si muove nervosamente tra i vari posti della platea, non riesce a trovare una posizione. Ora corre, ora si siede, ora si rialza. È così che entrano in scena il binomio Serini – Mieli, performer e soggetto/a di indagine, finzione e realtà entrambi/e fusi/e proprio da questa difficoltà a collocarsi nel mondo e nella scena.
Percorrendo la vita di Mario Mieli viene destrutturata la realtà: le cose sono esattamente come sono percepite dal nostro occhio e contemporaneamente anche l’opposto. Come facciamo a fidarci di quello che vediamo, ma allo stesso tempo voler andare oltre?
Un cerchio da quadrare o un quadro da circolare?
La sedia che pende dal soffitto, per esempio, potrebbe essere tutto quello che noi vogliamo che sia oppure tutto quello che l’attrice ci dice che sia: se lei ci dice che è una balena bianca, allora lo è. Oppure è solo una sedia e lei potrebbe benissimo fare lo spettacolo senza.
“La verità è che sono qui e che sto recitando. È tutto finto.”
L’attrice, infatti, si rifiuta di recitare ossia di salire sul palco come Mario Mieli e uscire come Mario Mieli. In questo modo non si coglierebbe la natura sostanziale della sua battaglia da rivoluzionario filosofo, un opporsi alla direttiva imposta dal capitalismo: l’uomo/donna non deve capire troppo, deve procedere per linee dritte separate senza porre domande, non deve fare errori se no viene tacciato di perversione.
Questo spettacolo come l’esistenza vuole andare per tentativi; uno spettacolo che volutamente non nasconde i propri errori, ma li mostra. Uno spettacolo che continua a costruirsi e a decostruirsi: le leggi implicite del teatro sono state sovvertite, in modo tale che il pubblico non sa cosa aspettarsi e non sa come dovrebbe reagire.
“Uno spettacolo in cui tutto è svelato.” Uno spettacolo che non divide ma cerca di unire, superando le barriere innaturali che sono sempre state erette davanti a noi: tutti noi siamo sia maschio sia femmina insieme. Mario Mieli ha sempre scalato ogni muro che si trovava dritto e alto di fronte a lui, portando avanti una battaglia per la libertà di tutti.
Il desiderio da liberare, come ci ricorda Raffaella Colombo nell’incontro in corte Mario è l’anagramma di amori, è quello infantile polimorfo e perverso, ossia un desiderio che coinvolge tutto il corpo e non ha una meta designata. L’attore poeta ci invita in una battaglia come unica possibilità di integrare gli opposti che coabitano in noi e di poter poi cambiare il mondo.
Mario Mieli, infatti, era: un/una pazzo/a ma anche una figura geniale, un uomo/una donna violento/a ma anche delicato/a, perverso/a ma anche puro/a come un/una bambino/a, magicamente gioioso/a ma anche profondamente arrabbiato/a. Mario Mieli era ognuna di queste cose insieme.
A DIALOGO CON IRENE SERINI E CATERINA SIMONELLI
Perché partite dal corpo per comprendere e stanare gli stereotipi che appunto, come hai detto tu prima nell’incontro in Corte, subdolamente si insinuano dove non immaginiamo?
IRENE: Due cose mi vengono da dirti, la prima è che si è sempre abituati a stare proprio anche fisicamente in una sorta di comfort zone, murati vivi dai nostri vestiti che sono come delle armature; ci presentano al mondo, fanno il lavoro per noi in qualche modo. Il corpo mi sembra essere quel luogo ormai sempre meno parlante in maniera consapevole. Dopodiché, nello specifico posso dirti che nel corso della mia storia e della storia di Caterina c’è stato questo incontro con la compagnia Atopos, una compagnia dove la stragrande maggioranza delle persone era di natura transessuale, transgender. Lì è stato forse, se non la prima, almeno la seconda volta in cui ho avuto forte, fortissimo la consapevolezza di quanto il corpo sia importante. È un luogo in cui si combatte una battaglia politica attraverso quelle persone omosessuali che scelgono di mutare il proprio corpo per dire una cosa al mondo che non riguarda solo loro stessi.
E Mario Mieli in qualche modo ha fatto questo. Cioè, lui investiva tantissimo fisicamente, attraverso delle azioni. Il corpo non è soltanto come quel luogo che noi possiamo modificare a nostro piacimento, ma è inteso anche come quel luogo che si può spostare, quella parte di noi che può occupare uno spazio e compiere delle azioni. Molto spesso un pensiero alto ed elevato portato in scena e nella vita anche da intellettuali di altro livello non si accompagna da delle azioni.
Mario Mieli ha provato a fare delle azioni. Mario Mieli ha fatto anche teatro, l’ha fatto nel momento in cui hai capito che non bastava scrivere un libro ma bisognava fare qualcosa col corpo, con la voce. Tu che dici Cate?
CATERINA: Perché il corpo è lo strumento che abbiamo a disposizione oltre che per il nostro lavoro anche per vivere, quindi, è lì che risiede gran parte del nostro essere e quindi fare un lavoro anche di consapevolezza, di che cosa porta il mio corpo o che cosa amputa il mio corpo serve nell’ottica di una scoperta. È po’ il tempio della mente.
IRENE: Del cuore
CATERINA: Il cuore secondo me è un muscolo… (ridendo) però del ginocchio e soprattutto dell’organo genitale. Ci sono, no, delle filosofie orientali che legano tantissimo la zona genitale a un centro di grande potere. C’è da dire anche una cosa, forse è una caratteristica dell’uomo moderno pensare a una sorta di divisione fra corpo e mente. Mario Mieli, che era un meraviglioso bambino questa divisione forse non ce l’aveva così così rigida o così cristallizzata. I bambini e le bambine si toccano nella patata poi si mettono le mani in bocca, esplorano il corpo dell’altro. È un elemento imprescindibile.
Nel laboratorio abbiamo lavorato tanto sullo spazio, su come, magari inconsapevolmente, collocandoci e situandosi in determinati punti dello spazio, emergano, in aggiunta a quelle che sentiamo nostre, anche tutte le varie identità che lo sguardo dell’altro ci ha attribuito. Oltre allo spazio cosa può fare emergere in maniera così forte queste identità e in particolare l’identità di genere?
IRENE: Qui mi rifaccio a un’altra lettura che ho fatto, di una filosofa politica che si chiama Flavia Monceri, lei ha indagato tantissimo le dinamiche di potere ovviamente e sposa anche una certa idea di ermafroditismo, cioè una consapevolezza del fatto che siamo entrambe le cose, sia maschio che femmina. Però viviamo in un mondo dove costantemente ci viene richiesto di essere una cosa soltanto o maschio o femmina. Come fare per avvicinarsi a questa forma di ermafroditismo? Lei è una persona che si veste da uomo, quindi non bisogna sottovalutare il vestito, che io prima ho chiamato corazza, è anche corazza per qualcuno, ma per altri può essere una forma di divertimento. Mario Mieli amava vestirsi da donna, Flavia Monceri si veste con la cravatta.
Se io adesso fossi portatrice di una certa femminilità ma indossassi la cravatta, creerei un piccolo cortocircuito assolutamente complice anche di una certa idea fashion; no? Adesso è piena in realtà nel campo della moda di persone maschi che portano la gonna insieme ai pantaloni… bisogna capire fino in fondo qual è il luogo in cui ha senso.
Io nello spettacolo, per esempio, mi chiedo a un certo punto come mai gli uomini nella società che viviamo quotidianamente non è così concesso di indossare la gonna, almeno non altrettanto come invece è ormai concesso alle donne di indossare i pantaloni. Questi sono piccolissimi gesti che richiedono comunque un grande coraggio, specie, mi viene da dire, agli uomini che decidono di evidenziare il loro lato femminile e quindi vengono percepite come persone che in qualche modo nella logica gerarchica perdono un po’ di potere e quindi si avvicinano alla fascia sociale che ha meno potere pubblico. Il vestito è un modo: giocare col vestito, pensare al vestito non soltanto come un luogo di rappresentazione della propria femminilità, della propria mascolinità ma come esibizione di entrambe le cose. Poi noi proviamo a dire nello spettacolo che un altro modo di lavorare è tanto anche sul linguaggio. Anche questo pomeriggio parlavo dell’articolo da utilizzare: perché quando in un gruppo c’è una stragrande maggioranza di donne e anche solo un uomo si continua a usare il maschile e non si sperimenta una cosa, che sembrerebbe anche più logica da certi punti di vista, cioè il femminile, in quanto la maggioranza?
Adesso, per esempio, ci sono una serie infinita di possibilità che vengono date: questa U e questa ə/з, questo* impronunciabile, che si mettono tante difficoltà. Io stessa sono in difficoltà rispetto al linguaggio quando viene fatta una proposta così spietata, così innovativa rispetto alla lingua tradizionale, così impronunciabile.
Però oggi provavo anche a dirlo al pubblico, immaginare che l’attore o l’attrice, nel mio caso, non sia solo attore o attrice, ma colui e colei che fa l’attore e colui e colei che fa l’attrice, questo colui e colei che è qui con te adesso a rispondere alle domande. Trovare un escamotage anche molto personale come nel mio caso che però ti fa intuire una possibilità alternativa.
Dopodiché c’è il pensiero, c’è il ragionamento, c’è interrogarsi e scegliere. La vita è una scelta sempre spietata, scegliere dove collocarci fisicamente, linguisticamente, mentalmente.
CATERINA: Aggiungerei che, se avessimo più tempo nell’evoluzione di questo laboratorio, forse avremmo potuto lavorare anche sulla relazione con l’altro da me, perché nella relazione con l’altro si fa tutta una serie di compromessi o di amputazioni della propria individualità. In teatro succede una cosa a volte che è bellissima, cioè che la relazione non è una relazione fra due, ma è una relazione a tre, che il mio essere più l’essere di qualcun altro crea un terzo essere che è polimorfo, in qualche modo, come nelle relazioni d’amore. Quindi sì, in qualche modo, un altro indicatore può essere la relazione che muta sia di genere che di età, perché a volte ti capita di metterti in relazione come un bambino di 5 anni e mezzo e poi con la stessa persona invece di entrare in contatto con la parte adulta, la parte maschile, la parte femminile. Quindi la relazione, secondo me, è un luogo dove si può giocare molto su sperimentarsi in maniera diversa.
In “Elementi di critica omosessuale”, Mario Mieli ad un certo punto dice:
“Chi aggredisce un omosessuale si mette il cuore in pace considerando che tutto sommato se un finocchio era una creatura così esile, così fragile, così aerea, così trasparente, così delicata, così deperita, così garrula, così musicale, così tenera, si poteva ucciderlo; come vetro veneziano aspettava soltanto il grosso e duro pugno che potesse frantumarlo senza neppure tagliarsi”
L’immagine del vetro veneziano che si frantuma senza neppure tagliarsi… qualcosa che è destinato a rompersi quindi tanto vale farlo, pensate che oggi l’immagine dal di fuori sia ancora quella?
CATERINA: Questa roba qua secondo me è molto legata all’omosessualità maschile, io istintivamente mi verrebbe da dire così. Credo che questo sia dovuto a quella cosa che diceva lei prima, il fatto che un uomo che decide di sperimentare la sua parte femminile o che si identifica di più con la sua parte femminile, dove a femminile si associano tutte queste caratteristiche molto delicate, stilnovistiche quasi, compie una sorta di tradimento terribile nei confronti della virilità.
E c’è non soltanto il fatto di decidere di non usare quel potere che ti dà l’essere maschio, ma c’è anche proprio un giudizio sul fatto che questo tipo di virilità viene deprezzata dall’accostarsi all’altro. Una cosa che a me, per esempio, mi ha sempre impressionato è il tipo di atteggiamento che avevano i nazisti nei confronti dell’omosessualità maschile e omosessualità femminile. Per cui l’omosessualità maschile era veramente stigmatizzata mentre quella femminile, si era comunque condannata, però come donna potevi comunque servire da incubatrice o da altro. Il nazismo ha fatto emergere come non era così aleatoria come questione, ma era legata proprio a all’immagine della virilità come vertice di una gerarchia, vertice di un potere.
IRENE: Mi fa piacere che tu abbia rintracciato quel libro, io lo considero ovviamente potentissimo ed è un luogo dove puoi rintracciare tantissime citazioni ancora estremamente incandescenti che ci aprono ad un altro immaginario. Il mondo è pieno di uomini anche un “po’ femminili” che però sono eterosessuali, così com’è il mondo è pieno di uomini potentemente virili che sono omosessuali, così come “una robusta istitutrice tedesca può essere perdutamente etero, così va il mondo”. Il mondo è quel luogo magico in cui tu puoi effettivamente trovare l’esibizione della forza l’esibizione anche della fragilità. Personalmente considero oggi giorno molto più forte colui e colei che riesce a esibire le proprie fragilità, che riesce a entrare in contatto anche pubblicamente con le proprie fragilità.
Nello specifico della fragilità che si esibisce qua la prima cosa che mi viene in mente è anche una tendenza umana a distruggere ciò che è portatore di purezza, cioè quando siamo di fronte a qualcosa che associamo a un’espressione di fragilità ma pura, può perché siamo terribili in quanto umani, c’è un istinto a uccidere. Lo spettacolo che hai visto oggi finisce con una citazione di Platone: quando l’essere umano esce dalla caverna, cammina sotto la luce abbagliante del sole, poi ritorna. Il filosofo si chiede se non gli diranno che questo suo essere uscito lo ha fatto tornare indietro con gli occhi rovinati, e non lo ucciderebbero allora, potendolo avere tra le mani. Non uccideresti colui che si è concesso una libertà che tu non ti stai concedendo?
E questo lo dico a malincuore, perché riguarda tutti gli esseri umani, quindi, riguarda anche me che sto parlando. Soffro nel vedere la libertà di un altro che io non mi sono concessa. La giudico. Ecco mi ha fatto scattare questa suggestione.
Ph. Gabriele Spalluto